Fare Futuro, fondazione di cultura politica, studi e analisi sociali, nei giorni scorsi a Roma ha presentato i risultati di una ricerca, condotta da Valentina Cardinali e realizzata insieme all'Istituto Piepoli: "Donne del Mediterraneo. L'integrazione possibile". Tale ricerca ha analizzato aspettative, opinioni, condizioni di integrazione degli immigrati provenienti dal bacino del Mediterraneo. In particolare la ricerca ha messo a fuoco il ruolo della donna, quale agente di integrazione, definendola l'opportunità attraverso cui passa la possibilità di conciliare culture.
L'immagine che ne esce è quella di una popolazione di immigrati che per il 92% ha una idea positiva del nostro Paese, quattro quinti di quanti sono inseriti nel mercato del lavoro non si sente discriminato, oltre la metà degli intervistati pensa di rimanere in Italia. Oltre il 70% degli intervistati ritiene che il rispetto delle leggi è la condizione fondamentale per facilitare il processo di integrazione. Le donne, in particolare le donne lavoratrici, sembrano le più entusiaste del nostro paese, dei nostri valori e delle nostre leggi. Le donne manifestano una maggiore propensione all'integrazione, non si percepiscono come un modello in contrapposizione con quello della donna italiana.
Quanto sopra è in sintesi il comunicato di presentazione di questa ricerca, in base a queste affermazioni sembrerebbe che non ci siano problemi legati alla presenza di cittadini stranieri in Italia, sono loro stessi ad affermarlo e non possiamo certo smentirli. Però chissà perché qualcosa non torna. Personalmente ho sempre diffidato delle statistiche, e quando i risultati sono troppo distanti dalla percezione più diffusa, ritengo sia importante approfondire.
La ricerca ha preso in esame gli immigrati dai paesi che affacciano sulle coste del Mediterraneo, non la totalità della popolazione immigrata; tra questi ha scelto di intervistare solo soggetti in regola con il permesso di soggiorno. Questo significa che si è preso in esame un campione rappresentativo di una minoranza del totale degli immigrati. Oltre a questo in nessuno dei comunicati stampa sono state rese pubbliche le modalità di raccolta dei dati, elemento non trascurabile considerando che la ricerca ha riguardato soggetti provenienti da quasi venti diverse nazioni, questo rende significativo sapere se è stato utilizzato un questionario scritto o se sono state fatte delle interviste, e in che lingua, se sono stati utilizzati dei mediatori oppure no. Ognuna di queste variabili può incidere significativamente sui risultati della statistica.
Leggendo tra le righe dei risultati possiamo dedurre che si tratti di immigrati presenti nel nostro territorio da un lungo periodo: hanno il permesso di soggiorno, sono inseriti nel contesto sociale e hanno una buona conoscenza della nostra lingua, perché tutto fa presupporre che la ricerca sia stata condotta in italiano. In questo senso il campione non può essere ritenuto rappresentativo dei tre milioni e mezzo di immigrati presenti in Italia al 31 dicembre 2008. Si tratta di un campione rappresentativo di quanti sono già integrati.
Personalmente vorrei che si facessero delle ricerche serie ad esempio sulle aspettative, opinioni, condizioni di integrazione che gli italiani nutrono nei confronti degli immigrati, del mediterraneo e non. Vorrei che si mettesse a fuoco il malessere diffuso nella nostra società che porta ad identificare lo straniero come causa di tutte le nostre paure: le nostre donne sono violentate solo dagli stranieri, i rom rapiscono i bambini, i rumeni rubano, ecc…
Vorrei che alcuni episodi inquietanti venissero interpretati come il sintomo del disagio che molti dei giovani italiani esperimentano nei confronti dello straniero, episodi come la ragazza albanese picchiata perché sull'autobus si è seduta nel posto "riservato" agli italiani, il cinese picchiato a Roma (tra l'altro in possesso di regolare permesso di soggiorno e contratto di lavoro), e il giovane italiano Abdul ucciso a Milano.
Potremo auspicare qualsiasi integrazione e compiacerci di pensare ad una realtà futura arricchita dalla presenza di tante nuove culture, ma se non siamo in grado o non vogliamo estirpare le radici del razzismo, non si potrà fare futuro.
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