sabato 7 aprile 2007
Candelora
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Terra Santa
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PAROLE CHE UCCIDONO
Parole che uccidono
La notizia ha avuto un notevole risalto su giornali e telegiornali, un ragazzo di sedici anni si è ucciso a Torino. La notiziabilità di tale evento è nel fatto che il giovane si era lamentato di essere vittima di vessazioni da parte di alcuni compagni che – riferisce la madre- lo chiamavano Jonathan per sottolineare la sua presunta omosessualità.
Non posso evitare di fare alcune considerazioni, forse non troppo in linea con il taglio dato dai nostri media alla notizia.
In primo luogo mi ha colpito la reazione della madre che per rassicurare il figlio gli ha detto “ma tu sei bellissimo, non hai difetto”, rafforzando quindi l’idea che un omosessuale non può essere bello, e soprattutto che sia difettoso…
Seconda considerazione gli insegnanti intervistati hanno precisato che in realtà il ragazzo era oggetto delle invidie dei compagni perché era molto bravo, tutti sette e otto… ancora una volta l’insensibilità dei cosiddetti educatori fa paura! Hanno sottovalutato il disagio, non hanno riconosciuto il bullismo perpetrato sotto i loro occhi e in più si affrettano a rivalutare la memoria del giovane, anche per loro “non ha difetto”!
Terzo se dico donna a una donna, non è un insulto, se dico uomo ad un uomo non è un insulto, se dico gay ad un gay è un insulto, se lo dico a chi gay non è un insulto doppio?
Credo che il nostro percorso di civilizzazione sia davvero molto arretrato, se parole come omosessuale, lesbica e gay assumono inevitabilmente una connotazione spregiativa e laddove a denotare tale status abbiamo una fioritura di termini osceni davvero degna della ricchezza della lingua italiana.
In tutto questo nessuno ha osato ipotizzare se quel ragazzo fosse realmente omoaffettivo, quindi turbato nello scoprirsi addosso questa identità, che gli altri gli sbattevano in faccia come qualcosa di ripugnante e aberrante. Che anche sua madre chiamava difetto e che i suoi insegnanti facevano finta di non vedere, perché troppo difficile da affrontare.
Finchè un adolescente che si scopre omoaffettivo vivrà l’orrore di se stesso e il disprezzo di chi gli è intorno, finché le parole che definiscono la sua identità conterranno in se stesse la qualifica dell’insulto e dello stigma sociale non avremo il diritto di definirci una società civile!
La notizia ha avuto un notevole risalto su giornali e telegiornali, un ragazzo di sedici anni si è ucciso a Torino. La notiziabilità di tale evento è nel fatto che il giovane si era lamentato di essere vittima di vessazioni da parte di alcuni compagni che – riferisce la madre- lo chiamavano Jonathan per sottolineare la sua presunta omosessualità.
Non posso evitare di fare alcune considerazioni, forse non troppo in linea con il taglio dato dai nostri media alla notizia.
In primo luogo mi ha colpito la reazione della madre che per rassicurare il figlio gli ha detto “ma tu sei bellissimo, non hai difetto”, rafforzando quindi l’idea che un omosessuale non può essere bello, e soprattutto che sia difettoso…
Seconda considerazione gli insegnanti intervistati hanno precisato che in realtà il ragazzo era oggetto delle invidie dei compagni perché era molto bravo, tutti sette e otto… ancora una volta l’insensibilità dei cosiddetti educatori fa paura! Hanno sottovalutato il disagio, non hanno riconosciuto il bullismo perpetrato sotto i loro occhi e in più si affrettano a rivalutare la memoria del giovane, anche per loro “non ha difetto”!
Terzo se dico donna a una donna, non è un insulto, se dico uomo ad un uomo non è un insulto, se dico gay ad un gay è un insulto, se lo dico a chi gay non è un insulto doppio?
Credo che il nostro percorso di civilizzazione sia davvero molto arretrato, se parole come omosessuale, lesbica e gay assumono inevitabilmente una connotazione spregiativa e laddove a denotare tale status abbiamo una fioritura di termini osceni davvero degna della ricchezza della lingua italiana.
In tutto questo nessuno ha osato ipotizzare se quel ragazzo fosse realmente omoaffettivo, quindi turbato nello scoprirsi addosso questa identità, che gli altri gli sbattevano in faccia come qualcosa di ripugnante e aberrante. Che anche sua madre chiamava difetto e che i suoi insegnanti facevano finta di non vedere, perché troppo difficile da affrontare.
Finchè un adolescente che si scopre omoaffettivo vivrà l’orrore di se stesso e il disprezzo di chi gli è intorno, finché le parole che definiscono la sua identità conterranno in se stesse la qualifica dell’insulto e dello stigma sociale non avremo il diritto di definirci una società civile!
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